Alcuni eventi storici hanno una valenza particolare perché
arrivano a colpire nell'intimo specie quando arrivano più o meno
inaspettati
La caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 è sicuramente
uno di quelli
Ricordo le immagini alla Tv con le migliaia di persone che si
accalcavano alla Porta di Brandeburgo , quelli che si arrampicarono e
ci salirono anche in piedi, immagini come queste credo se le
ricordino in molti.
In quel momento però, in cui la situazione evidentemente sfuggì
di mano, a cadere era un simbolo, o meglio, quello che per anni era
stato un simbolo delle divisione fra bene e male (così l'hanno
venduta alla mia generazione) , fra capitalismo e comunismo.
La caduta della cortina di ferro metteva anche una bella pietra
tombale sulla guerra fredda che aveva condizionato
pesantemente tutti gli eventi sociopolitici del dopoguerra.
Io ero poco più che un ragazzotto, che pochi mesi prima aveva
terminato il servizio di leva nell'esercito; quelle immagini mi
colpirono molto e decisi che in un modo o nell'altro io dovevo
esserci, dovevo trovare il modo di andare là e salire su quel muro.
L'occasione me la fornirono alcuni amici; da tempo infatti cercavo
senza tuttavia riuscirci, di farmi un giro in Europa con la
Interrail, ma non trovavo mai compagni di viaggio abbastanza motivati
per farlo.
Francamente non ho mai capito perchè dei ventenni come me non
avessero voglia di varcare le frontiere e buttare il cuore altre
l'ostacolo, per vedere se non altro cose c'era “fuori”.
Comunque alla fine l'occasione arrivò , era quella di un giro in
camper per l'Europa, in sei persone, il tutto ovviamente senza
cellulari, carte di credito e navigatori Gps.
Così nell'estate 1990, subito dopo i Mondiali partimmo
all'avventura e iniziammo il nostro peregrinare per l'Europa toccando
prima l'Austria, poi l'Ungheria, la Cecoslovacchia e dopo aver visitato Praga
puntammo su Dresda, nella ex DDR (Deutsche Demokratische Republik).
L'ingresso alla dogana nella DDR fu un po' inquietante, con i
controlli molto rigidi e le guardie che cercavano di scroccarci
qualsiasi cosa, dal cibo ai cappellini, cosa che di per se già
faceva capire cosa ci avrebbe aspettato al di là della frontiera. Arrivammo a Dresda a notte
fonda e alla mattina decidemmo di lasciarla senza troppi complimenti,
perché ci appariva squallida e volevamo puntare a tutta velocità (è
un eufemismo visto che il nostro camper andava max a 80km orari) su
Berlino Est, che ci appariva più stimolante da visitare.
Arrivati a Berlino l'impatto con il “muro” non fu dolce,
faceva una certa impressione vedere una metropoli spaccata in due da
questo monumentale simbolo dell'ottusità umana, immaginavo cosa
potesse voler dire vivere in una città tagliata in due, che
viaggiava a due velocità.
Ad Est i negozi erano scarni, poca merce, nella di desiderabile da
comprare, a Ovest opulenza ed abbondanza; ad Est le Trabant, le Lada
, le Prinz a motore Wankel (ricordo delle lezioni di meccanica
dell'Itis) , ad Ovest le Golf, le Mercedes e le Bmw.
A parlarne ora a 25 anni di distanza viene da sorridere, ma poca
era la distanza fisica fre i due mondi, ed abissale era invece la
differenza nella vita quotidiana, vestiti, oggetti modo di vivere,
sembrava di vivere in un mondo irreale , vedevamo tutto ciò a cui
non eravamo abituati a casa nostra, passare da un paese libero e
caotico, ad uno irregimentato spartano e onestamente poco accogliente
era un bell'impatto per un ventenne.
Nella DDR si sentiva veramente forte ed opprimente la presenza del
regime, cosa che ad esempio si percepiva molto meno in Ungheria e
Cecoslovacchia, che erano comunque paesi del Patto di Varsavia
Metabolizzato il primo giorno l'impatto con la parte est della
città la mattina seguente la prima cosa da farsi era ovviamente
puntare su Postdamer Platz e la Porta di Brandeburgo, in fin dei
conti eravamo andati lì apposta.
L'idea di salire sul muro ovviamente non mi aveva mollato mai,
durante la notte cercavo di capire come avrei potuto fare per
realizzarla, visto e considerato che il muro era veramente alto e
liscio (ovviamente) e salirci a mani nude non era particolarmente
facile, anche se comunque quelle persone che avevo visto a suo tempo
nelle foto ci erano riuscite.
Poi volevo che il tutto apparisse un po' dissacratorio di quel
posto e quindi mi vestii in un modo che ritenevo adeguato.
Pantaloni coloratissimi (di quelli da mare che in compagnia
avevamo ribattezzato i “tossiconi”)e maglietta comprata a Praga
con una prima pagina della Pravda; strada facendo comperai da un
Vopos il suo cappello d'ordinanza per pochi marchi (costoro si
vendevano di tutto, orologi, medaglie, divise ecc, pur di raggranellare
qualche soldo) e quindi soddisfatto potevo presentarmi al mio
appuntamento con la storia.
Arrivati a Postdamer Platz c'era un nutrito gruppo di ragazzi che
vendevano magliette e, udite udite, noleggiavano mazze di ferro e
piedi di porco, per scassare il muro.
Dopo un brevissimo scambio di battute in inglese ci rendemmo conto
che questi ragazzi così intraprendenti erano più o meno tutti
partenopei! (hanno sempre una marcia in più)
Il gioco di rompere il muro era abbastanza facile, con la mazza di
ferro picchiavi forte fino a infrangerlo, poi con il piede di porco
facevi leva sotto i ferri dell'armatura ed i pezzi si sgretolavano
anche se non senza fatica (ma tanto si era giovani).
Quindi, fatta la provvista di cocci del muro scattò il momento "foto", quindi a turno lasciammo uno di noi a Ovest e ci infilammo
nelle brecce a est per farci fotografare.
Per i miei compagni di viaggio a voler guardare , la storia era già finita
così ma per me no, così iniziai a girovagare nel lato est alla
ricerca di qualcosa su cui arrampicarmi, affidai ad uno di loro la
mia Nikon e alla fine , cercando qua e la fra i materiali da cantiere
che c'erano in mezzo a tutto quel casino, trovai un asse da muratore
con inchiodate delle traverse.
Quello faceva al caso mio, così fra gli sguardi poco convinti dei
miei compagni di avventura che scrollavano la testa, lo appoggiai al
muro e tentai di salirci anche se con non poca fatica, perché seppure con
l'asse riuscivo ad arrivare in alto, in realtà non riuscivo ad
afferrare la sommità del muro, in quanto era costituita da un cilindro
di cemento precompresso, quindi ogni volta che ci mettevi le mani ,
scivolavano via. (un po come quando al mare cerchi di salire sul gommone)
Alla fine , dopo “n” tentativi, riuscii a salire a cavalcioni
sul muro, come testimonia la foto, e lì ci rimasi per una bella
decina di minuti.
A dire il vero io ci sarei rimasto una giornata, così, vestito
come un deficiente, perchè da lì sopra mi scorrevano nella testa le
immagini di un film già visto. Mi immaginavo i tentativi di fuga,
le guardie sulle altane, il filo spinato, mi immaginavo la voglia che
potevano avere i cittadini dell'Est di fuggire da quella vita così
irregimentata, anche a costo di rischiare la vita.
Da lì sopra capivi tutta l'idiozia della guerra, avevo alle mie
spalle la porta di Brandeburgo e guardando davanti a me avevo la
spianata di Postdamer Platz, un prato che non era un prato, ma che
era erba cresciuta su macerie di distruzione, un immenso spazio
aperto desolato e senza alberi. Guardando a sinistra poi era pure peggio,
palazzi a 7/8 piani, tutti con le finestre rivolte ad ovest murate in
mattoni a vista, facciate quasi diroccate, praticamente uno
scenario postbellico ed inquietante, per un ragazzo che la guerra
l'aveva vista solo nei film.
Sono passati quasi 25 anni da quel giorno ma le sensazioni me le
ricordo ancora e sono ancora vive, rivedere ieri le immagini su
internet e alla tv della caduta del muro me le ha riportate a galla.
La prospettiva da sopra il muro non era la stessa da terra, da lì
si vedeva la guerra e si percepiva l'odio, la cattiveria e l'idiozia
che aveva portato alla costruzione di quel muro.
Ich bihn eine Berliner, disse JFK nel suo celebre discorso, ho
capito più cose della storia stando seduto su quel muro che in ore
di lezione a scuola.
Su quel muro avrebbero dovuto sedersi molti capi di stato e
dovrebbero sedersi ancora oggi sui pochi brandelli di muro rimasti,
tutti coloro che credono che la guerra sia un modo come un altro, per
risolvere per risolvere gli affari di stato e di politica estera.
E comunque alla fine di tutto. . io c'ero! Proprio come volevo.
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